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Cronaca di una guerra

La cronana narrata da Angelo Tafuro

antica estensione di gallipoli

Presentiamo in queste pagine la cronaca della guerra che Venezia mosse contro le città di Gallipoli, Nardò ed altri luoghi della provincia di Terra d'Otranto. Questa cronaca è stata narrata da Angelo Tafuro da Nardò sul finire del 1400 e adattata all'italiano corrente dallo staff di Japigia.com. Abbiamo lasciato la narrativa più simile possibile all'originale del XV secolo adattandone, soltanto, alcuni termini e forme espressive.

La cronaca fu raccolta, manoscritta, nei primi decenni del 1700 dallo storico e studioso Ludovico Antonio Muratori, il quale, per molti anni, fu bibliotecario ed erudito alla corte degli estensi di Modena.

La presa di Gallipoli

Nel mese di di maggio del 1484 la Provincia di Terra d'Otranto andava, pian piano ritrovando la tranquillità, dopo le passate sciagure delle crudeli guerre fatte dai turchi contro la città di Otranto ed altri luoghi vicini quattro anni prima. Il 16 di maggio, quando la biada maturava in campagna, si vide, all'orizzonte della rada di Gallipoli, un'armata navale di 60 vele, di galee e molte altre navi che si avvicinavano al porto della cittadina ionica.

Gallipoli è posta su un duro e grande scoglio in mezzo al mare; l'accesso ad essa è garantito da un ponte in pietra. Vicino alla porta della città vi è un castello governato da Alfonso Filomarino che aveva piena giurisdizione sulla città.

Poco fuori le mura c'è una fontana d'acqua dolce. La città è molto bella e, per questa ragione, gli antichi abitanti del luogo la chiamarono Gallipoli.

Fu dirupata e sconquassata da... [Angelo Tafuro non lo scrive, ma fu Carlo d'Angiò, n.d.r.] perciò i cittadini se ne andarono ad abitare chi di qua e chi di là. E, dopo molto tempo [circa 100 anni, n.d.r.], la cominciarono ad abitare nuovamente.

Nel porto di questa città, dunque, giunsero le navi veneziane e qui si fermarono; subito, i veneziani, si fecero sentire con un trombettiere ai cittadini, imponendo ad essi di arrendersi e prestare obbedienza ai signori veneziani. Essi avrebbero dovuto esporre lo stendardo di pace e solo in questo modo sarebbero stati accolti con una grande benevolenza e amorevolezza, perché altrimenti si sarebbe dato inizio ad una guerra crudele ed infiammata.

Subito sopra la muraglia si affacciò il popolo gallipolino che rispose di esser sudditi fedeli a Ferrante, di Re di Napoli, e che non volevano obbedire ad altri.

Al ritorno del trombettiere i veneziani subito esposero gli stendardi rossi sopra le navi [lo stendardo rosso con al centro il leone di San Marco è stato, per secoli, il simbolo di Venezia nel Mediterraneo, n.d.r.] e fecero scendere a terra tutti i soldati; organizzarono padiglioni, artiglieria e munizioni in una zona non molto lontana dove comincia il ponte di accesso alla città.

Tutto il giorno e la notte i veneziani lavorarono per allestire le postazioni di attacco. La mattina dopo, alle prime luci dell'alba, i soldati si misero in posizione e diedero inizio al bombardamento dalla parte della terra e dalle navi.

Agli attacchi dei veneziani il castellano Filomarino rispondeva sempre sparando in modo da tenerli lontani; era tanto il bombardamento che gli spari si sentivano fino alla città di Nardò, dove il rimbombo dei cannoni diveniva un rumore terrificante.

Molti dei cittadini [di Nardò, n.d.r.] si recarono alla Madonna d'Altomonte per vedere la battaglia, ma era tanto il fumo che non si vedeva nulla, udendosi soltanto il rumore delle bombarde.

Dalla parte del castello i veneziani riuscirono ad aprire un varco nelle mura del porto, da dove i soldati, con grande destrezza e organizzazione, si diedero all'assalto. Tuttavia i Gallipolini, con animo forte e meraviglioso, si buttarono contro gli invasori, non lasciandoli avvicinare alle mura; quando fu notte suonarono i tamburi e le trombe e ciascuna delle parti si ritirò al proprio posto.

La mattina, allo spuntar del sole, dalla città di Nardò e dalla città di Lecce si mandarono in soccorso di Gallipoli duecento soldati. Questi, arrivati sul Monte a tre miglia da Gallipoli, videro che la strada da dove dovevano passare era stata occupata e così si fermarono.

I veneziani scoperti gli aiuti ai Gallipolini, sferrarono con molto impeto un nuovo attacco alla città: era il 18 del mese di maggio e i gallipolini ormai sfiniti incominciarono ad indietreggiare: il comandante delle difese si mise avanti ai suoi soldati dandogli animo.

A dare animo ai cittadini avviliti ci furono pure le donne che presero le armi in mano e i sassi per combattere gli invasori.

Così, preso un po di coraggio, si diedero di nuovo con grande impeto a resistere al nemico, tale che dopo una battaglia tremenda durata 5 giorni furono i veneziani a indietreggiare.

La mattina del terzo giorno i veneziani circondarono la città e Marcello, loro capitano [si tratta di Jacopo Marcello, “Generale da Mar”], confortava i soldati con buone parole dando speranza che quello sarebbe stato il giorno in cui avrebbero conquistato la città. I soldati incitati dalle parole assaltarono nuovamente la città e i gallipolini con fierezza resistettero agli attacchi nemici, tanto che dal torrione, con uno sparo, ammazzarono il generale Marcello. Questo avvilì tanto i soldati veneziani che sembrava volessero lasciare il campo di battaglia.

Ma Domenico Malipiero, preso il comando, li trattenne e diede nuovamente coraggio ai soldati tanto che ricominciarono la battaglia in modo ancora più irruento. I poveri Gallipolini, non potendo più resistere, cedettero il porto.

Gli abitanti della città, correndo impauriti, si rifugiarono nelle chiese e in altri luoghi oscuri e sotterranei. Entrati i veneziani fecero una grande strage di povera gente: ammazzarono grandi e piccini, rubarono nelle case e saccheggiarono tutto.

Ma il generale Malipiero, vedendo tanta crudeltà, si dispiacque ed ordino ai suoi soldati di fermarsi. Morirono molti veneziani in queste tre battaglie: il generale Jacopo Marcello, Delio Vespo, Francesco Nani, Pietro Quirino. Aloisio Garzoni, Costantino… e cinquecento soldati con altri capitani e ufficiali.

Dei gallipolini morirono duecentoquaranta cittadini tra uomini e donne e i signori Elia Ruri, Francesco Camaldari, Antonio Arcanà, Pietro Santachiesa, Sermagistro Sermagistri e tra le donne Litonia Barella, Angela Gulielmo, Maria Grossi ed altre.

Il generale ordino che l'esercito si riposasse: così si stabilirono fino alla fine del mese nella città sistemando però i danni da loro provocati alle mura e al castello.

Il tre di giugno uscirono dalla città tremila soldati e si diressero per conquistare e sottomettere la terra di Racale, Felline, Alliste, Supersano, Casarano, Casarano piccolo [l'attuale Casaranello, a quel tempo separata dalla cittadina principale di Casarano, n.d.r.].

Depredarono e saccheggiarono tutto ciò che trovarono lungo il loro cammino. mettendo una grande paura all'intera provincia e al regno di Napoli.

Ma ciò che era peggio è che nessuno andava in soccorso, tutti stavano nei loro luoghi e non si univano per fare resistenza a tanta barbarie.

Documento creato il 03/01/2013 (08:30)
Ultima modifica del 03/01/2013 (10:02)
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